Storia Villa D'orri

Pare che l’edificio sia stato impostato sui resti di un convento di Padri Trappisti, risalente all’incirca agli anni 1450-1500; a causa della peste, essi morirono tutti e furono sepolti in una collinetta della tenuta di Orri, chiamata “Su Campusanteddu”; quest'unica notizia però non ha avuto riscontri né planimetrici, né documentari.
Allorché nel 1774 don Giacomo Manca di Thiesi acquisì la proprietà, questa era costituita da quindici mila ettari. Suo figlio Stefano, primo marchese di Villahermosa e S. Croce, noto raffinato committente d’arte, ristrutturò i fabbricati esistenti e fece della tenuta una delle più importanti aziende agrarie della Sardegna. Questi, fin da giovanissimo, frequentò la Corte dei Savoia a Torino dove ricoprì innumerevoli cariche, dapprima puramente onorifiche e in seguito militari tra cui quella di aiutante maggiore nel Reggimento dei Dragoni di Chiablese. Nel 1790 il re Vittorio Amedeo III lo nominò secondo scudiero e gentiluomo di bocca del duca del Genevese Carlo Felice e del Conte di Moriana Benedetto Placido, e poi gentiluomo di camera nel 1795. Tali cariche lo introducevano nella vita privata dei principi di cui divenne grande amico e consigliere per quanto quasi coetaneo. L’amicizia tenace e indissolubile che legò Stefano Manca a Carlo Felice è il filo conduttore delle vicende che videro i Manca di Villahermosa compartecipi della storia sarda e di quella nazionale.
Quando, in seguito all’occupazione napoleonica, la Corte sabauda lasciò Torino e si rifugiò a Cagliari, don Stefano fu uno dei pochi fedelissimi a non abbandonare il re Carlo Emanuele IV, succeduto al padre Vittorio Amedeo III nel 1796. Fu proprio il Villahermosa ad occuparsi della spedizione di tutto ciò che poteva essere necessario ai Reali in esilio; ne fanno fede le bollette di transito per mare custodite nell’archivio di Orri. La sistemazione dei Savoia non fu impresa facile, visti gli spazi ridotti in cui furono costretti ad adattarsi nel loro soggiorno nel Palazzo Viceregio; Carlo Felice con la consorte Maria Cristina di Borbone preferì sistemarsi in un’ala del Palazzo Arcivescovile, attiguo e comunicante col primo, ma, secondo quanto ci riferisce l’arciduca Francesco d’Austria – Este nella sua opera “Descrizione della Sardegna” (1812), i duchi del Genevese erano soliti soggiornare soprattutto in inverno e primavera dal marchese di Villahermosa a Orri.
Il 19 aprile 1807, il marchese Stefano fu insignito della croce dell'Ordine di S.Gennaro; questa non fu che la prima di una lunga serie di onorificenze prestigiose – la Gran Croce dei SS. Maurizio e Lazzaro, il Collare della SS. Annunziata, l'Ordine di Santo Stefano d'Ungheria e quello di S.Alessandro Newski – culminata poi nel 1831 nella nomina a Gran Maestro d'Artiglieria, solitamente riservata ai principi di sangue reale. Sempre partecipe delle vicende familiari della dinastia sabauda, fu testimone per Maria Beatrice, figlia di Vittorio Emanuele I di Savoia, succeduto al fratello Carlo Emanuele IV nel 1802, in occasione delle sue nozze con Francesco IV di Modena celebrate nel duomo di Cagliari nel 1811. Quando nel 1821 Carlo Felice salì al trono, divenne possibile per don Stefano trasferirsi a Torino al seguito del re, non rinunciando pero a recarsi spesso in Sardegna nonostante le difficoltà e l'eccessiva durata del viaggio. Alla morte di Carlo Felice, avvenuta nel 1831, il marchese di Villahermosa continuò a rendere servigi alla Casa Regnante curando, insieme alla regina Maria Cristina, l'esecuzione dei voleri testamentari del re; spettò inoltre a lui il compito di annunziarne ai torinesi la morte e la successione al trono di Carlo Alberto. Don Stefano conseguì ancora due altissime onorificenze: le nomine a Gran Maestro d'Artiglieria ampliata a tutto il regno dal nuovo re e a consigliere di Stato secondo i voleri di Carlo Felice. Affaticato dai pesanti impegni diplomatici e dai continui viaggi da e per per la Sardegna, pensò di ritirarsi a vita privata, ma fu colto da improvviso malore a Genova dove morì nel 1838.
Dopo la sua morte una serie di alterne vicende videro la tenuta di Orri ora in buone condizioni, ora abbandonata a sé stessa. La Villa conobbe tempi tristi e di declino finché risorse a nuova vita col nonno degli attuali proprietari, don Vincenzo Manca Aymerich, nipote del primo marchese di Nissa Giovanni, secondogenito del marchese Stefano. Dopo il suo matrimonio con la baronessa Sofia Franchetti, don Vincenzo, allievo dell'Accademia delle Belle Arti, la restaurò, arricchì gli arredi e talvolta rinnovò le decorazioni interne per farne la propria residenza durante i suoi soggiorni nell'isola. Risanate dalla malaria le terre circostanti, ripuliti il parco e l'accesso al mare, Orri divenne di nuovo un luogo di villeggiatura.
Unica “villa reale” esistente in Sardegna, circondata da un parco ricco di essenze arboree e alberi ad alto fusto, la facciata a monte si collega al giardino all’italiana con una scala a tenaglia, adorna di busti marmorei di stile neoclassico, mentre il prospetto verso il mare si inserisce armoniosamente nel paesaggio naturale attraverso un ombroso porticato sormontato da una soleggiata terrazza ornata da uno stemma sabaudo; nell’ampia corte, monumentali esemplari di Ficus Magnoloides dalle tipiche radici aeree.
Famosa per aver ospitato illustri personaggi storici, custodisce preziose memorie, anche documentali ed insigni tesori storici e artistici relativi al periodo dell’esilio sabaudo nell’isola e mantiene ancor oggi gran parte dei suoi originari arredi. Tra gli ambienti più suggestivi il “Salotto Cinese”, con i suoi settecenteschi papier peint che ripropongono il gusto esotico tipico delle corti europee dell’epoca, l’ampio “Vestibolo” caratterizzato dai busti marmorei di Carlo Felice e del marchese Stefano con le loro spose e dai soffitti dipinti con scene mitologiche e naturali, il “Salotto Rosa” con una e vera e propria collezione di ritratti di personaggi della dinastia sabauda, la “Sala da Pranzo”, arredata in sobrio gusto neoclassico e infine le stanze da letto di Maria Cristina e Carlo Felice, con gli antichi letti e relativi baldacchini ricoperti di cortine seriche.
La Villa con le sue collezioni, insieme alle sue pertinenze e al parco è stata oggetto di notifica da parte del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, che le riconosce un importante valore storico e architettonico come complesso monumentale.